Gestione della performance e sistemi incentivanti. Motivazione e prestazione: quanto costano i soldi
All’imprenditore non basta più che il lavoratore subordinato svolga la prestazione lavorativa richiesta con diligenza, nell’interesse dell’impresa e in osservanza alle disposizioni impartite dai suoi superiori. Tali profili ormai attengono alla valutazione della prestazione lavorativa in termini di sua corretta esecuzione e, quindi, la loro mancanza potrà rilevare ai fini dell’esercizio del potere disciplinare da parte del datore di lavoro o ai fini di valutare l’utilità di mantenere una certa risorsa all’interno dell’azienda. Infatti, la prestazione lavorativa, secondo questi termini, costituisce ancora una voce di costo (costo necessario, evidentemente) e, quindi, l’imprenditore richiede che a fronte di un costo prestabilito (normalmente pari alla retribuzione fissa) corrisponda quanto meno una prestazione resa correttamente.
Ma la crisi, l’evoluzione del mercato che ha assunto ritmi frenetici, modalità partecipative per cui il datore di lavoro chiama a forme di corresponsabilità nella fase decisionale anche determinate categorie di lavoratori subordinati, hanno fatto sorgere l’esigenza per il datore di lavoro che di riconoscere ulteriori somme al lavoratore subordinato (oltre alla retribuzione fissa) come retribuzione variabile questa non sia più un costo ma un investimento.
E’ ormai evidente che la struttura delle politiche retributive è costruita su due pilastri: (i) retribuzione fissa (=costo); (ii) sistemi incentivanti collegati a politiche di welfare aziendale o sistemi premianti (=investimento).
Come si è visto in nostri precedenti interventi, il legislatore ha cercato di agevolare il datore di lavoro trovando soluzioni che alleggerissero la leva fiscale e contributiva al fine di aiutare i datori di lavoro ad introdurre piani di incentivazione che riguardassero il maggior numero di lavoratori subordinati (si veda, ad esempio il welfare aziendale).
Ma oltre all’introduzione di politiche agevolative (che restano ovviamente fondamentali) è necessario affrontare e risolvere problematiche di natura culturale ed organizzativa.
Dal punto di vista culturale, da un lato, il datore di lavoro deve comprendere che è opportuno investire importanti risorse finanziarie sulla crescita all’interno del proprio organico della cultura dell’eccellenza rispetto ad altre iniziative o anche solo alla decisione di distribuire utili tra i soci e, dall’altro lato, i lavoratori subordinati non devono temere che tali politiche retributive vadano a ledere il vincolo di solidarietà tra i lavoratori subordinati che, quindi, invece che aiutarsi l’uno con l’altro, identificano il collega in un potenziale concorrente.
Sarà quindi primario compito del datore di lavoro comunicare quali sono gli scopi che s’intendono perseguire con l’introduzione di un tale tipo di piano incentivante. Infatti, è ormai necessario per l’azienda introdurre piani retributivi differenziati e che, per certi versi, esaltino le differenze andando a premiare quelle eccellenze all’interno del proprio organico che, in termini molto pragmatici, permettono all’intera azienda di migliorare i propri profitti e, quindi, dotarsi delle risorse necessarie per sostenere i costi che il ciclo produttivo richiede.
In un contesto come quello sopra descritto, i diversi obiettivi e le differenti conseguenze (in termini di riconoscimento economico) rappresentano una ovvia conseguenza di decisioni strategiche adottate dal datore di lavoro. Se pensiamo ad un’azienda commerciale che deve posizionare i propri prodotti all’interno di un mercato dominato da players la cui riconoscibilità all’interno del mercato è indiscussa, questa dovrà necessariamente premiare quegli addetti commerciali che siano capaci di individuare metodologie efficaci anche attraverso una piena condivisione della filosofia aziendale in modo tale da iniziare a conquistare quote di mercato. È inevitabile che il sistema incentivante sia differenziato per coloro che operano in un determinato segmento che, per opinione condivisa o per decisione dell’imprenditore, costituiscono un settore decisivo per acquisire significative quote di mercato.
In definitiva, un sistema incentivante per essere efficace e, quindi, per motivare il proprio organico deve esplicitare in maniera trasparente quali sono gli obiettivi da raggiungere e le conseguenze di carattere economico ad essa collegate. In questo modo anche i differenti obiettivi e riconoscimenti economici saranno pienamente apprezzabili da tutti i dipendenti.
Ma il datore di lavoro dovrà parallelamente costruire un processo formativo dei propri managers in modo che vengano abituati a riconoscere le capacità dei propri sottoposti per quello che sono e non come potenziali concorrenti a cui tarpare le ali (generando un pericoloso turn over di risorse) o una risorsa da sfruttare a proprio vantaggio (determinando un clima di sfiducia all’interno dell’azienda). Mano a mano che cresce il livello di responsabilità dell’azienda, il risultato atteso non è solo in termini produttivi oggettivamente misurabili ma anche di capacità gestionale/manageriale (cd. soft skills). Sul punto è interessante come la giurisprudenza abbia confermato la giustificatezza di licenziamenti di top managers che, anziché svolgere una funzione equilibratrice, da collettore di consensi, hanno provocato invece, con la loro gestione prevalentemente autoritaria, tensioni e fratture, nonostante i risultati economici raggiunti (così si è espresso il Tribunale di Milano con una sentenza del 23 marzo 2017). In altri termini, dal punto di vista giuridico, la valutazione della performance non può essere effettuata atomisticamente: si possono e si devono sanzionare disciplinarmente (e, quindi, anche con il licenziamento) managers che adottano comportamenti scorretti o addirittura vessatori. Non si possono riconoscere bonus a coloro che ottengono risultati importanti al prezzo di distruggere un ambiente aziendale.
Individuando procedure oggettive e trasparenti si potrà superare il tabù della performance intesa come capacità del lavoratore subordinato di conseguire determinati risultati. Infatti, pur rimanendo fermo il principio che il rapporto di lavoro subordinato è un’obbligazione di mezzi e non di risultato (e, quindi, il mancato raggiungimento di determinati obiettivi – salvo che non rappresenti una chiara evidenza di negligenza ed insubordinazione – non potrà portare all’adozione di sanzioni disciplinari fino al licenziamento per giusta causa), è ormai comune mettere al centro della valutazione per la retribuzione variabile il conseguimento di obiettivi individuali che possono essere misurati in termini tangibili ed oggettivi.
Infine, è importante sottolineare l’importanza della comunicazione sia in fase di assegnazione degli obiettivi, sia durante il periodo di riferimento (effettuando delle sorte di check point che possono essere usati anche per riposizionare il dipendente) sia al termine del periodo di riferimento. A quest’ultimo riguardo è fondamentale commentare in ogni caso i risultati conseguiti indipendentemente dal raggiungimento o meno degli obiettivi fissati: ciò in quanto si acquisiscono importanti informazioni non solo per perfezionare i futuri piani incentivanti ma anche per comprendere il mercato di riferimento e la sua evoluzione.
Ma tutto questo impone impegno di tempo e di risorse finanziarie (dovendo coinvolgere consulenti che permettano di costruire piani incentivanti efficaci e corrispondenti alle effettive esigenze aziendali e che siano predisposti in conformità alla vigente normativa; al pari del costo aziendale rappresentato dagli incentivi che eventualmente verranno erogati, tali attività di formazione rappresentato un “costo” o, sarebbe meglio dire, un investimento per il datore di lavoro.
L'avv. Mattia Lettieri è iscritto all’albo degli avvocati di Milano dal gennaio 2001 ed è abilitato alle giurisdizioni superiori dal 2016. Nell’ottobre 2005 costituisce con l’Avv. Francesco Tanca lo Studio Lettieri & Tanca, boutique specializzata in diritto del lavoro.